Fante Cosimo Corradino

278°  Rgt.

nato a Roccaforzata – TARANTO  8.12.1922

Rientrato vivo dopo la ritirata


"Vorrei aggiungere a riprova di quanto la ritirata di Russia avesse segnato mio padre che fino agli ultimi giorni di vita (30 giorni esatti passati in ospedale, in condizioni di totale cecità; con un femore rotto e altre gravi complicazioni) ha continuato a raccontare agli altri ammalati di essere stato sulle rive del Don e presumo altro"


Mio padre era nato l’8 dicembre 1922 a Roccaforzata, un paesino della provincia di Taranto, ed era stato chiamato alle armi il 28 gennaio 1942. Raggiunto il comune di Latisana (UD) era stato inquadrato nel 26° reggimento di fanteria Bergamo e spostato poi il 3 febbraio 1942  al Comando al Deposito del   278° reggimento di fanteria; successivamente sarebbe entrato a far parte  della Divisione Vicenza

Prima di partire per la Russia aveva trascorso alcuni mesi, con la sua divisione, in una caserma di Trescore Balneario, in provincia di Bergamo. Nonostante fosse giugno, la mattina al risveglio vedeva le vicine montagne innevate, cosa alquanto strana per un meridionale. La gente del posto, dedita alla pastorizia, era gentile con quei giovani soldati e, talvolta, offriva loro un bicchiere di latte mentre rientravano dall’addestramento in montagna.
Qualche giorno prima della partenza era stato a pranzo in una trattoria, con un suo commilitone e i suoi familiari; i miei nonni, non avevano avuto la possibilità di raggiungere Bergamo. Mio padre era partito per la Russia con un terribile senso di angoscia: il fratello Francesco, a cui era molto legato, era stato dichiarato irreperibile dal Ministero della Marina, il 1 luglio 1942, in seguito all’affondamento dell’incrociatore “Alberico da Barbiano”, avvenuto il 13 dicembre 1941 a Capo Bon, al largo delle coste tunisine, ad opera di tre cacciatorpediniere inglesi ed uno olandese.
Mio padre era giunto in Russia il 1 ottobre 1942, dopo un viaggio lungo e disagiato.
Dopo la fine del conflitto, aveva scritto più volte all’indirizzo di un suo commilitone di San Pancrazio Salentino (BR) per avere notizie di un suo ritorno a casa, poiché si erano persi di vista durante la ritirata. Non aveva però mai ricevuto risposta e, in casi del genere, anche la non risposta equivale ad una risposta più che eloquente.
Ogni tanto mi raccontava di un un suo commilitone, Rota Giovanni di Bergamo, descrivendolo come un ragazzo molto alto e robusto; erano nella stessa compagnia e non lo aveva più visto durante la ritirata. Dal sistema di ricerca del Ministero della Difesa (OnorCaduti) ho verificato che
di Rota Giovanni, tutti deceduti sul fronte russo, ce ne sono almeno 7, di cui solo uno nato a Bergamo e gli altri 6 nati nella provincia; di questi 7, solo due sono nati nel 1922.
Quando gli ho chiesto di Nikolajewka, mi ha risposto che non era passato da lì mentre, a distanza di 65 anni, si ricordava benissimo di Podgornoje.
Durante la permanenza in Russia, un giorno aveva molta fame e ha ceduto alle insistenze di un altro militare che gli proponeva di chiedere del cibo ai civili russi. Il suo collega, probabilmente un napoletano, gli aveva raccontato che in zona c’era una famiglia di civili che possedeva molte provviste. Mio padre, ingenuamente, gli aveva chiesto: “Ma ci daranno qualcosa?”, e l’altro aveva risposto che non c’erano problemi. Allora si sono presentati, loro due da soli, in casa dei russi ma, mentre erano lì sull’ingresso, di colpo, dietro le donne e i bambini, sono comparsi, con aria minacciosa, degli uomini armati di forconi. Mio padre e il suo collega sono riusciti ad andar via (a mani vuote), indietreggiando e contemporaneamente puntando il moschetto contro quelle persone.
Durante la ritirata, un loro capitano, per stabilire un minimo di disciplina, pretendeva che i suoi uomini facessero degli esercizi ginnici, nonostante le temperature polari e le truppe allo sbando. Un fante si è rifiutato di obbedire e il capitano ha impugnato la pistola minacciando di fare una decimazione.
Mio padre era partito per la Russia insieme ad un suo compaesano, di nome Pietro Picca. Durante la ritirata non si erano mai separati; il suo amico gli chiedeva spesso di fermarsi perché non ce la faceva più per il freddo, la fame e la stanchezza. E mio padre gli rispondeva: “Se non ci muoviamo prima o dopo arrivano i russi e ci portano via”. Dopo la fine del conflitto ed il ritorno a casa, si sono rivisti in varie occasioni, ed ogni volta il suo amico lo ringraziava per il sostegno ricevuto durante i terribili giorni della ritirata.
Ogni tanto mi raccontava che loro se ne erano tornati in Italia “con la Tridentina” lasciandomi intendere che si erano agganciati, durante la ritirata; a qualche reparto armato di quelle indomite truppe alpine.
Tra le poche altre cose che mi ha raccontato c’è anche questa: un giorno, durante la ritirata, è entrato in un’isba. A distanza di tanti anni ricordava ancora di averci trovato un tenente colonnello in lacrime: piangeva perché aveva perso tutti i suoi uomini.
Diversi anni fa, avevo notato in uno dei cassetti del comò una piccola sveglia a carica manuale. Ho chiesto spiegazioni a mio padre e mi ha risposto che non la utilizzava perché, pur funzionando, non era precisa; l’aveva trovata durante la ritirata e se l’era portata dietro.
Nel 1964 lo Stato si è ricordato di chi aveva combattuto e inviava a mio padre una croce al merito di guerra; è rimasta per anni in un cassetto. Insieme alla sveglia e al suo foglio matricolare sono le uniche cose che mi restano della sua partecipazione alla campagna di Russia, oltre al ricordo di quello che mi ha raccontato.


Seriate, 17 luglio 2011 Corradino Ignazio


156° Divisione Vicenza

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