Fante Giuseppe LEGORI

di Angelo

277° - II Battaglione - 5 ª Compagna Fucilieri – Salmerie - Conducente

nato a Castelverde - Cremona 6.4.1914

Deceduto il 5.4.43 in prigionia nel Campo 84 – Asbiest, Асбест


VERSO IL DON
Questo brevissimo scritto è il frutto dei ricordi di mia nonna prima e di mia madre poi. Non è molto ma è pur sempre un pezzettino di vita di un uomo segnato da un destino che lo accomuna a tante altre vite e di cui non ci è dato di capirne ancora il senso. Quest’uomo era mio nonno.
Giugno 1942
Essere soldato a Cremona era una fortuna. Le vie respiravano la guerra, ma lontana. I campi attorno alla città pullulavano di vita. Nelle campagne la quotidianità era un bene prezioso, si cercava di mantenerla a tutti i costi, seguendo il ritmo delle stagioni. L’estate era arrivata prepotente come ogni anno e camminavo nel caldo del mattino, verso casa mia.
“Mamma Peppina! Arriva il tuo Pino!”.
Mia mamma mi corse incontro dopo essere scesa dalla scala appoggiata ad uno degli alberi che filavano belli dritti tra il fosso e il campo. L’abbracciai e mi disse subito che c’era proprio bisogno di due belle braccia di uomo per “pelare i gelsi”. Mi misi immediatamente al lavoro, strappavo manciate di foglie con foga. Prima avrei finito, prima avrei riabbracciato le mie bambine e mia moglie.
La sera a tavola era una festa. Sedevo con Teresa su un ginocchio e Mirella sull’altro che piluccavano senza sosta dal mio piatto.
“Dammele qui dai, cosi mangi tranquillo” mi disse Agnese, mia moglie da soli due anni.
Le abbracciai più forte. “No, lasciamele godere!”
“Cosa dice il tuo capitano?” chiese mia madre
“Che gli piace come accudisco il suo cavallo. E’ contento di me. E’una bestia splendida. Tutta bianca come la neve. E’ anche buona, non ho fatto fatica a domarlo”.
“Il padrone sente la tua mancanza. Dice che non c’è nessuno che possa sostituirti nella doma dei cavalli..”.
“Il capitano ti vuole vedere Legori”.
Lo trovai seduto dietro la scrivania che maneggiava uno dei suoi guanti bianchi. Me lo porse ed io lo presi, rigirandolo tra le dita. Mi disse di osservarlo meglio, non notavo dello sporco sulle dita?
“Stamattina ho accarezzato il cavallo. Non l’hai pulito come si doveva. Il risultato è su quel guanto”.
Quando chiusi la porta del suo studio, il mondo mi stava crollando addosso. Le sue ultime parole mi rimbombavano nella mente come un martello: “Legori, per luglio si stanno approntando nuovi convogli destinati al fronte orientale. Preparati a partire.”
La notte di fine giugno splendeva sotto una luna quasi piena. Ho odiato quella luna che non avrei più scordato, mentre sentivo il vociare della mia famiglia, dei miei amici, della mia gente. Alla mia tavola mi stavano salutando prima della partenza. Io sapevo che non sarei più tornato.
Mi trovarono in un angolo della cantina a piangere.
“Pino..? Ma non torni più? Ti aspettiamo con il vino..”
Era il 30 giugno 1942.
Mi assegnarono al 277° reggimento di fanteria, II battaglione, 5° compagnia, reparto salmerie, matricola 156.
Arrivai al corpo, a Cervignano del Friuli il 3 luglio.
Il treno chiuse le porte su una giornata d’estate come non ne avrei più viste.
La mia ultima estate l’avrei trascorsa sui binari, attraversando mezza Europa, su e giù dai vagoni.
Toccammo il confine a Tarvisio, poi giungemmo a Vienna, attraversammo parte della Cecoslovacchia e giungemmo in Polonia, sempre verso Nord. Poi finalmente il convoglio cambiò direzione e puntò verso sud. Varcammo il confine Ucraino a Romny e qui il treno fermò la sua corsa. Ci aspettava una lungo percorso da fare a piedi, con i nostri pochi mezzi motorizzati carichi di ogni genere di sussistenza. Il 4 ottobre eravamo operativi presso i nostri reparti.
Ma non sembrava di stare sul fronte di guerra. Sembrava di essere in Italia, ancora nelle campagne attorno alla mia cascina, perché si mieteva ancora il grano. Il clima era ancora relativamente tiepido anche se eravamo ormai ad ottobre inoltrato. Ma il grano qui si raccoglieva due volte l’anno. Io e tanti altri miei compagni, passavamo le giornate aiutando i contadini nel lavoro nei campi. E loro ci offrivano un letto e da mangiare. Avevo avuto la fortuna di essere ospitato da una famiglia che mi voleva bene e che aveva due gemelline. La sera mi pareva di sedere alla tavola con le mie bambine.
Ma poi un giorno ricevemmo l’ordine di sostituire sul Don i reparti di alpini che presidiavano già da settimane. Ci preparammo per un’altra lunga marcia a piedi. Il reggimento venne smembrato in tanti piccoli gruppi sparsi lungo il fiume, sia a ridosso, ma principalmente nelle immediate retrovie.
Eravamo in dicembre e fu allora che arrivò l’inverno russo, quello vero.
Ne scrisse poche altre di lettere. L’ultima risale all’8 gennaio 1943. Non si capiva molto di quello che raccontava, un po’ per la grafia poco leggibile, ma soprattutto a causa delle righe nere della censura. Quello che sappiamo della ritirata, e della sua prigionia sono solo supposizioni tratte dalla lettura di documentazioni e testimonianze in merito.
Per certo sappiamo solo che nello stesso mese, in qualche modo (possiamo immaginare come e con che stenti) fu messo su un treno e deportato come prigioniero nel campo 84 di Asbest, 85 km circa a est dalla città di Eketerinburg, oltre la catena montuosa degli Urali.
Se ne andò di malattia il 5 aprile 1943. Il giorno dopo avrebbe compiuto 29 anni.


Silvia Marchesi nipote di Legori Giuseppe


156° Divisione Vicenza

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