Fante Antonino POLLARI

di Antonino e Giuseppa Filippardo

277° Reggimento – III Battaglione - 9ª Compagnia

(proveniente dal 25° Rgt.)

nato a Camporeale – Palermo 25.6.1922

Fatto prigioniero in località Valuiki - Валуйки  il 27.1.1943

Rientrato vivo il 5.12.1945 dopo la Prigionia, nel Campo 29/5 di Phakt Aral – Пахта‐Арал - Tashkent


nota: PAKTA ARAL Asia centrale - Kazakistan meridionale

Era un complesso di 6 lager situato a 200 Km. a sud-ovest di Taskent.

prigionieri erano adibiti alla coltivazione del cotone. I primi italiani arrivarono nel settembre del 1943 e l'anno seguente

vi furono trasferiti quasi tutti gli italiani sopravvissuti agli altri lager.

Vi morirono 298 italiani, molti dei quali anche nel 1945.


Questa testimonianza è stata scritta da mio padre Antonino Pollari, nel 1979, in ospedale, per la degenza della malattia che lo ha portato alla morte il 6 gennaio 1980.


In memoria di mio padre Antonino,


Filippo Pollari


Quartogenito di sette fratelli sono nato a Camporeale in provincia di Palermo il 25 giugno 1922 da una famigliadi contadini onesti ed educati, fin da bambino sono sempre stato partecipe ai bisogni e le sofferenze che il mio nucleo familiare viveva. Mi sono sempre impegnato e dotato di qualche virtù che madre natura mi aveva dato all’ età di dieci anni raggiunsi il mio obbiettivo ( imparai a suonare il mandolino senza che alcuno mi avesse fatto scuola).
All’ età di 19 anni e 5 mesi proprio quando mi sentivo forte e gioioso, fui chiamato alle armi e partii il 25 gennaio dal mio paese nativo con destinazione 277° Reggimento Fanteria Vicenza.
Sono partito dall ‘Italia per il Fronte Russo il 21 Maggio dopo 6 giorni di treno giunsi nella città di Kupjansk ed usufruito di 10 giorni di riposo fui inviato con il mio Reparto in Prima Linea sul fiume Don. Camminammo per 12 giorni attraversando alcune città di cui Swatow , Valujki , Rossosch Rowenki, arrivando nella località di Staraja Kalitva.
Eravamo esauriti del tutto e dopo circa 3 mesi beneficiammo di 15 giorni di riposo, fummo sostituiti da una Divisione di Alpini e ci trasferirono nella città di Rubezmoje nelle vicinanze del fiume Donetz a fare servizi di vigilanza su di un ponte , poiché il Comando ci avevano impartito ordine che dei civili russi passavano alcuni documenti segreti al nemico. Rimanemmo in quella città fino agli ultimi giorni di settembre dopo ritornammo in Prima Linea.
Il 18 dicembre ci comunicarono che i Reparti Russi ci avevano accerchiato e che bisognava abbandonare la Prima Linea alla ricerca di poter uscire da quella sacca , giunti nella città di Rossos’ abbiamo fronteggiato un attacco contro i carri armati russi mettendoli fuori combattimento.
I nostri comandanti cercarono di comunicare con il Quartier Generale per avere notizie di altre Divisioni Italiane ma non ricevettero alcuna risposta , ed allora essendo stati abbandonati da tutti, ci radunarono e con le lacrime agli occhi ci dissero

“Giovani che il Signore ci aiuti”.

Camminai con i miei compagni di sventura per diciotto giorni in quella tormenta con la neve alta più di due metri ed una temperatura che scendeva di circa 35 gradi sotto lo zero, ed arrivato nelle vicinanze della città di Valujki mi fecero prigioniero, portandomi in una scuola abbandonata della stessa città priva di vetri .
Fummo lasciati per dodici giorni senza mangiare, dormendo sul pavimento freddo senza alcun giaciglio alimentandoci con qualche chicco di grano che trovavamo, facendoli cuocere con un po’ di acqua nella gavetta, finalmente, ci diedero da mangiare un pezzetto di pane il cui sapore sembrava un dolce.
Restammo nella scuola per un mese, poi ci fecero salire su dei carri merci e ci trasferirono al Campo di Concentramento n° 102 nelle vicinanze della città di Tula .
Durante il tragitto passammo per la città di Voronez e Micurinsk dove lasciammo 80 nostri compagni, morti sia di fame e di freddo.
Nel campo medesimo faceva più freddo rispetto Valujki la temperatura spesso scendeva 46 gradi sotto zero, eravamo dislocati in baracche costruite sotto il livello del terreno coperte con piccole travi e cannette ed uno strato di terra che serviva da copertura. Eravamo trattati meno di niente le persone morivano di freddo e di fame e di malattie, essendo privati di qualunque sostegno.
Per poter mangiare qualcosa in più mi recavo molto spesso dall‘ Ufficiale di Servizio (poiché avevo imparato a parlare qualche parola in russo), chiedendogli se era possibile fare dei lavori sia di raccogliere le ghiande nei boschi limitrofi , oppure lavori nelle famiglie ricevendo in cambio da quelle brave donne qualche pezzo di pane o patate bollite.
Spesso facevamo delle fosse larghe circa 4 metri per 4 profonde 2 in cui tumulavamo i soldati morti privi di indumenti e di piastrina in cui era inciso nome cognome e Reggimento di appartenenza.
Dopo circa 4 mesi fui trasferito con altri compagni in Siberia Occidentale in un Campo di Concentramento nelle vicinanze della città di Novisibirsk.
In quella zona faceva ancora più freddo, la temperatura spesso scendeva 50 gradi sotto zero. Nel Campo medesimo erano reclusi i prigionieri politici , condannati ai lavori forzati ed al nostro arrivo essi furono portati altrove e noi sostituimmo loro nei lavori , dovevamo rendere il cento per cento per avere un supplemento di 4 etti di pane in più.

Nell‘agosto del corrente anno sono stato di nuovo trasferito ,questa volta nella Repubblica Asiatica 48 Km oltre la città di Tashkent, nel campo di concentramento 29/5 di Phakt Aral, anche qui erano internati prigionieri politici. Questa zona era molto fertile, si produceva molto riso, grano, tabacco e cotone di cui lavorandolo facevano una bambagia messa in balle del peso di 160 kg. Anche qui come in Siberia, nel lavoro
dovevamo rendere il massimo, facevamo lavori sia nei campi e sia nelle costruzioni di case, il clima era molto caldo basti pensare che i mattoni di argilla che adoperavamo erano cotti al sole.
Nell’ inverno 43/44 ho contratto la malaria con febbre che arrivava a 42, per cui fui messo a lavori più leggeri, addetto alla pulizia delle baracche, ero ridotto a pelle e ossa pesavo 49 Kg, però dopo qualche giorno per la troppo debolezza fui ricoverato per tre mesi nell’ ospedale della città di Kokand, ristabilendomi, rientrando nuovamente nel Campo medesimo.
Nel mese di maggio del 1944 fu emesso un telegramma dal consiglio dei Ministri Russi, in cui era scritto che “tutti i prigionieri Italiani che si erano comportati bene e che non avevano avuto richiami dai Commissari dei Campi di Concentramento potevano indossare la divisa dell‘Esercito Russo“, dopo aver fatto giuramento.
Eravamo in 80 ed abbiamo accettato tutti e dopo una apposita selezione ed addestramento abbiamo preso posto insieme ai soldati Russi facendo lavori di scorta ad altri prigionieri di altre nazionalità; dopo un breve periodo i soldati russi andarono via rimanendo noi a fare servizi di scorta.


Sono ritornato dai miei cari la sera del 13 dicembre 1945 dopo circa tre anni di prigionia.


Antonino Pollari, 1979


156° Divisione Vicenza

©

156° Divisione Fanteria Vicenza