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GLI INTERPRETI AL FRONTE RUSSO CON LE UNITÀ DELL' ARMIR
Gli interpreti avevano il cruciale compito di rendere possibili le comunicazioni dei comandi e delle truppe italiani con l’elemento locale, vale a dire il nemico in armi in zona di combattimento e la società civile in zona d’occupazione. Essi provvedevano a veicolare bidirezionalmente messaggi di carattere militare e non: comunicavano norme e bandi alla popolazione e raccoglievano presso di essa informazioni, traducevano documenti catturati e indicazioni varie in cirillico; assistevano agli interrogatori dei prigionieri e dei testimoni civili ai processi al tribunale militare; lavoravano assieme agli elementi collaborazionisti locali e ai membri delle preesistenti strutture amministrative lasciate in piedi dall’occupante.
Gli interpreti venivano individuati e reclutati in Italia dal Servizio informazioni militare, che attingeva a diversi gruppi di persone: ufficiali, sottufficiali, civili militarizzati e civili tout court, talvolta anche di nazionalità straniera. I primi interpreti vennero messi in lista il 24 giugno 1941, due giorni dopo l’inizio della guerra contro l’Urss, ma in generale le truppe italiane lamentarono sempre una certa carenza di conoscitori della lingua locale in rapporto al numero dei reparti sul campo. Nel dicembre 1941, ad esempio, si trovavano presso il Corpo di spedizione italiano in Russia 30 interpreti di lingua russa, di cui 11 ufficiali e 19 elementi di truppa. La disponibilità complessiva in patria era al momento esaurita, tanto che una compagnia marconisti destinata al fronte russo partì poco dopo completamente sprovvista di elementi che sapessero leggere l’alfabeto cirillico.
Al momento della partenza dell’Armata italiana in Russia, nell’estate 1942, vi fu un’ulteriore «infornata» di 39 interpreti, di cui 18 sottotenenti e 21 sottufficiali. Numerosi interpreti avevano nazionalità italiana ma origini russe, ucraine o caucasiche, con uno o entrambi i genitori nati e cresciuti nei territori ora sovietici e in genere trasmigrati verso l’Europa centro-occidentale dopo la Guerra civile russa (1918-1921). Questi uomini, alcuni dei quali avevano persino militato come cadetti sotto l’Impero zarista, nutrivano in genere sentimenti anticomunisti e spesso si arruolarono volontari per poter combattere contro l’Armata rossa. Qualora non facessero già parte dei ranghi dell’esercito, essi venivano militarizzati e impiegati come interpreti in virtù della loro conoscenza della lingua.
Nel 1942, sempre a causa della carenza di elementi qualificati, oltre a ufficiali provenienti dal disciolto Esercito jugoslavo, l’Armir arruolò come interpreti anche «russi bianchi» e oriundi russi residenti in Italia che dopo l’inizio della guerra contro l’Urss erano stati internati in via cautelativa dal regime fascista come possibili spie e agenti del nemico. Gli ufficiali italiani si mostrarono spesso sospettosi e scarsamente camerateschi con questi uomini, nutrendo qualche timore sulla loro effettiva fedeltà alla bandiera. Per contro, l’Ufficio informazioni dell’Armir aveva piena fiducia negli oriundi russi se ne servì abbondantemente per i propri delicati compiti, come la raccolta di informazioni e il controspionaggio.
"Raffaello Pannacci, Università degli studi di Perugia"
Al fine di rendere più agevole la comunicazione con le popolazioni delle località occupate a tutti gli ufficiali italiani, compresi quelli della Divisione Vicenza, a partire dal 1942 venne distribuito a cura del Comando Supremo un Piccolo vocabolario tascabile italiano–russo con alcune note grammaticali e fraseologia di uso più comuni, assieme ad alcune disposizioni comportamentali da assumere riassunte in un volantino, corredato da una carta geografica con annesso Frasario Italo-Tedesco.
Tuttavia, per affrontare il problema relazionale della lingua, si rendeva necessario disporre di uno strumento più professionale, poiché si doveva colloquiare sia con i propri alleati che con le popolazioni e i prigionieri dei paesi occupati. Per questo motivo anche la Divisione Vicenza incluse nel proprio organico degli interpreti.
Il compito che si richiedeva all’interprete era fare da tramite fra persone di nazionalità diversa che non parlassero la stessa lingua, ma non si specifica se la qualifica di interprete presupponesse anche quella di traduttore o viceversa. È da presumere, comunque, che all’epoca dei fatti la differenza fra le due non fosse sostanziale, data anche la carenza di elementi russofoni nelle file italiane.
I rapporti con i tedeschi erano facilitati dal fatto che la lingua tedesca, al pari dell’inglese e del francese, era diffusamente studiata nelle scuole superiori italiane, per cui molti ufficiali del Regio esercito non si avvalevano di un interprete per un colloquio diretto con l’alleato.
Viceversa, per le lingue russa e ucraina, non presenti nei programmi scolastici occidentali, era necessario avvalersi della figura dell’interprete/traduttore, qualifiche che venivano semplicemente attribuite a coloro che possedessero tali conoscenze linguistiche.
Non è noto quanti fossero gli interpreti di lingue varie presenti nella Divisione Vicenza. Tuttavia si conoscono i nominativi di due ufficiali con tale incarico entrambi inquadrati nel Comando Divisione: il sottotenente di complemento Francesco Paolo Scaglione per il tedesco e il sottotenente militarizzato Giorgio Costantini per lingua russa.
S.Ten. Cpl. Francesco Paolo SCAGLIONE di Vincenzo e Amelia Abate, cl.6.8.1917
(da Palermo) - praticante Procuratore Legale
Comando Divisione – interprete di tedesco
dal gennaio ‘43 ufficiale addetto al centro trasporti del C.do Div.
Fatto prigioniero a Valujki - Валуйки , il 27.1.1943,
rientrato dopo la Prigionia dal Campo 160 di Suzdal - Суздаль
Francesco Paolo Scaglione, classe 1917, era impegnato all’epoca della guerra come praticante procuratore legale a Palermo, sua città natale. A partire dal novembre 1942 venne inquadrato nel Comando della Divisione Vicenza come ufficiale addetto ai trasporti, svolgendo l’incarico di interprete di tedesco.
Nel gennaio 1943 si trovava a Podgornoje e nella seconda decade del mese, al seguito del Comando di Divisione, si ritrovò nella colonna di ripiegamento della Vicenza assieme ad altri reparti del Corpo d’armata alpino. La colonna faceva capo allo stesso generale Pascolini, comandante della Divisione, che condusse le operazioni di ripiegamento dovendo far affrontare ai propri uomini sacrifici inenarrabili, in condizioni climatiche estreme e sotto continui attacchi dell’avversario fino al giorno 26 gennaio. A quel punto, esaurite le munizioni e valutato che ogni altra resistenza avrebbe solo significato un ulteriore sacrificio di vite, il generale diede l’ordine di cessare il fuoco.
Il resto della colonna venne così catturato.
Il sottotenente Scaglione, che prima della cattura rese inservibile la propria pistola d’ordinanza, rimase successivamente in un campo di smistamento nella zona di Valuijki fino alla fine del mese di febbraio 1943, dove venne depredato di tutto ciò che ancora possedeva, inclusi l’orologio e l’anello. Il mese successivo venne trasferito all’Ospedale di Akbulak, presso il quale rimase fino al giugno 1944, quando venne portato nel campo di concentramento 260 di Orsk, a sud degli Urali, rimanendovi fino al dicembre seguente. Solo a partire dal gennaio 1945 Scaglione venne trasferito al campo 160 di Suzdal, nel quale vennero concentrati quasi tutti gli ufficiali italiani superstiti di ogni unità. Dal 25 aprile 1946, a seguito dell’ordine di rimpatrio che terminò appena il 7 luglio dopo trasferimento a mezzo ferrovia, l’ufficiale giunse a Tarvisio, in provincia di Udine, al confine con l’Austria.
Il sottotenente, nella propria relazione redatta l’11 luglio 1946 a Napoli presso il Distaccamento “Arcoleo”, ricordò le condizioni di vita nei campi di prigionia, definendole moralmente e materialmente pessime e narrando di aver dovuto sottostare ad una disciplina rigida e non conforme alle convenzioni e ad un trattamento morale sempre umiliante.
Akbulak
Regione di Orienburg (ex Cikalov) all 'estremo sud degli Urali.
150 Km. a sud del capoluogo, sulla ferrovia che attraversa tutto il Kazakistan .
Nei due ospedali 3926 e 3318 di Akbulak, dal 15 marzo 1943 al luglio 1943 sono morti 429 italiani e circa altri dieci fino ali' agosto 1945.
Quasi tutti gli italiani ricoverati provenivano dal campo 62 di Nekrilovo, per cui appartenevano alle divisioni del Corpo d'Armata alpino, in particolare della Cuneense e Vicenza, ed erano stati fatti prigionieri il 27 gennaio 1943 a Valujki.
Vi morirono 689 italiani.
Orsk
Regione di Orienburg (ex Cialov) a sud degli Urali, al confine con il Kazakistan.
Vi morirono 31 italiani.
Suzdal
Campo n° 160 di Suzdal ,nella Regione di Vladimir (tra Mosca e Gorki).
I prigionieri italiani morti nel campon. 160 dal 17 gennaio 1943 al 15 giugno1946 sono stati 821. Nonostante il campo fosse destinato ai soli Ufficiali ditutte le nazionalità, risulta che oltre il 70% dei morti furono militari di truppa.
La maggior parte dei decessi è avvenuta nei mesi fra gennaio e maggio 1943.
I morti furono sepolti in fosse comuniprima di 50 unità, quindi di 25.
(notizie tratte dal Fondo M9, fonte AUSSME e dalla pubblicazione del MINISTERO DELLA DIFESA - COMMISSARIATO GENERALE ONORANZE AI CADUTI - Direzione Storico - Statistica –CSIR - ARMIR CAMPI DI PRIGIONIA E FOSSE COMUNI Edizione 1996)
S.Ten. (militarizzato) Igor JURAVLEV (italianizzato in Giorgio COSTANTINI)
di Dimitri e Margherita Iaroslavtzera, cl. 1.1.1921 (da Taschenth Russia – Distr. di Roma)
Comando di Divisione - Interprete
Caduto noto (per suicidio per evitare la prigionia) il 23.1.1943 in località Scheljakino
MAVM concessa nel 1948 alla memoria
Ufficiale addetto ad un comando di divisione quale interprete, in un aspro combattimento notturno di retroguardia, chiedeva ed otteneva il comando di un gruppo di uomini alla testa dei quali, in un momento particolarmente difficile dell’azione, si lanciava contro il nemico incalzante.
Ferito gravemente, non desisteva dall’azione finchè, colpito a morte, cadeva sulla posizione aspramente contesa.
Scheljakino (fronte russo), 23 gennaio 1943.
La storia di Giorgio Costantini è da ricollegarsi alle sue radici russe, laddove la famiglia d’origine emigrò in Italia dopo la Guerra civile russa. Il suo nome originario, infatti, era Igor Juravlev, nato nel 1921 in Russia dal padre Dimitri e dalla madre Margherita Iaroslavtzera. A quanto ne sappiamo, il padre Dimitri era stato ucciso durante la rivoluzione, da cui la fuga della famiglia in occidente.
In Italia il ventenne Igor Juravlev, naturalizzato in Giorgio Costantini, essendo un madrelingua russo, venne individuato quale figura idonea all’incarico di interprete presso una delle unità dell’ARMIR. A tale scopo venne militarizzato e assegnato con il grado di sottotenente alla Divisione Vicenza, dove fu inquadrato nel Comando di Divisione e partì con essa per il fronte orientale nell’autunno del 1942.
A tutti gli effetti il sottotenente Costantini divenne una figura di riferimento e su di lui vennero spese frasi di profonda considerazione nelle relazioni sia del generale Pascolini che del colonnello Salvi. Viene ricordato in diverse pubblicazioni, fra cui La campagna di Russia di Aldo Valori, La Divisione Cuneense al fronte Russo di Agostino Uberti, Diario di vita militare di Giovanni Falconi e Il tragico Don di Piero Fortuna e Raffaello Uboldi.
Igor era nato a Taškent, attuale capitale dell’Uzbekistan, allora sotto il dominio dell’Impero zarista. Juravlev, dunque, aveva 22 anni e conosceva bene il russo quando iniziò a collaborare con il Regio Esercito nelle operazioni militari del 1942-43, equiparato al grado di sottotenente di fanteria. In pratica fu "assunto" nella sede del Comando della Divisione Vicenza non come combattente, bensì come interprete. Con la divisa grigioverde dimostrò pure valore come soldato, soprattutto nelle ultime fasi che caratterizzarono la sua vita, motivo per cui nel 1948 gli venne attribuita la Medaglia d'argento al valor militare alla memoria.
Il 23 gennaio 1943, in località Scheljakino, in piena fase di ripiegamento da parte delle truppe del Corpo d’armata alpino provenienti dal fronte del Don, Igor, dopo essere stato ferito, ebbe la consapevolezza che la sua sorte sarebbe stata segnata da una fine quasi sicura.
L'esercito e le unità della Divisione Vicenza, quelle che lui aveva servito, stavano soccombendo mentre egli arretrava braccato dalle forze russe. Igor sapeva bene che, se fosse caduto prigioniero del suo stesso popolo, immani sofferenze lo avrebbero atteso.
Ma la morte che poteva arrivare in battaglia tardava a sopraggiungere; non c'era tempo per pensare, non c'era tempo per attenderla, non poteva rischiare forse la prigionia o sicuramente pene ben peggiori.
Pochi attimi furono sufficienti per togliersi la vita.......alcuni lo videro cadere per mano sua e lo testimoniarono; fra questi anche il generale Pascolini.
Ma la motivazione della MAVM non riportò il triste dettaglio della morte per suicidio, forse per rispetto verso un uomo che nonostante le sue origini aveva scelto di servire l’esercito della nazione che lo aveva accolto come rifugiato assieme alla sua famiglia.
(il testo è stato prodotto con la collaborazione di Renza Martini e la revisione di Raffaello Pannacci)
Dalla relazione del Generale Etenvoldo Pascolini
Nel frattempo, il mio interprete sottotenente Costantini, di origine russa, che si era buttato in testa ai primi reparti contro l’abitato, era rimasto isolato, con pochi valorosi, ma piuttosto che cader vivo in mano al nemico si suicidava, perdita dolorosa che rattristò tutto il personale del comando sinceramente affezionato a questo giovane ufficiale
Dalla relazione del Colonnello Giulio Cesare Salvi
. Il Sottotenente Costantini ufficiale interprete della Divisione perde la vita mentre in piedi reagiva al fuoco nemico e fra una raffica e l'altra incitava in lingua russa i nemici ad arrendersi
Dal diario di Giovanni Falconi (DIARIO DELLA VITA MITARE, Modulitalia s.r.l, Tavoleto - PU, 2022)
Giorno 12 gennaio 1943
Nella nottata del 12 gennaio si dettero 4 prigionieri russi, furono consegnati subito al Comando del Battaglione per interrogarli. Il Comando del Battaglione diede l’ordine di farli trasferire al comando del reggimento e per di nuovo interrogarli.
Il Tenente Nicotra fece il nome del sergente che era di Bergamo di Sotto, di cui non ricordo il nome, più due soldati, fra i quali c’era il nome di Falconi Giovanni e un certo Dall’Olio di Bologna, di portarli al comando del reggimento a Kureni, che era a 10 Km dalla linea, e si partì subito e li portammo al comando del reggimento. Arrivammo verso l’una. Consegnando i 4 prigionieri, entrando nella sala del Comando c’era una guardia,
Ricordo un episodio di un ufficiale italo-russo: Giorgio Costantin, interprete volontario alla Divisione Vicenza che veniva inviato sul fronte russo. Questo ufficiale, detto per italiano Giorgio Costantini, in Russo Igor Juraivlev faceva anche lui interprete. Si sapeva per mezzo dei nostri ufficiali che il suo babbo era stato fucilato dai Russi dalla rivoluzione d’ottobre e la mamma fuggita in Italia portando con se il suo figlio Igor.
Il padre era un ingegnere.
Io ho parlato con Costantini quando eravamo in linea sul Don. La notte del 12 gennaio 1943, sul fronte della Penisola Beltrame, essendo di pattuglia, ci siamo incontrati con una pattuglia russa, dandogli l’alto là per russo. “Stui ! Mani in alto” erano in 6, tre hanno buttato a terra il fucile egli altri non lo buttarono a terra, in un attimo un soldato della mia pattuglia che aveva il fucile mitragliatore puntato ma [con una] raffica venivano colpiti a morte.
Si presero gli altri tre disarmandoli e li abbiamo portati al Comando della nostra compagnia per interrogarli. Il tenente che si chiamava Nicotra Rosario Genovese, disse: “Siete stati molto forti”.
Erano mongoli.
Dopo una oretta il tenente ci chiama e ci disse di portarli al comando del Reggimento del 277o fanteria a Kureni [a] circa 8 chilometri, lì ebbi l’occasione di parlare con il sottotenente interprete Igor Costantini.
Il 16 gennaio 1943 il corpo d’armata Alpini veniva accerchiato compresa anche la Divisione Vicenza.
Dopo tanti combattimenti nell’accerchiamento sotto la neve, il vento pungente, sotto i 35 gradi sotto zero, la fame la stanchezza, il cammino, già si aveva sopra le spalle i 250 km, i combattimenti alle periferie di Sheljakino, il sottotenente Giorgio Costantini guidando il suo plotone con molta audacia di combattente contro un nemico che non dava tregua, lui sapeva che se l’avessero fatto prigioniero i Russi sarebbe [stato] fucilato, essendo ferito leggermente in un braccio. La sera del 22 gennaio 1943, in una isba verso mezzanotte, prese con l’altra mano buona la rivoltella e si sparò un colpo alla tempia e morì.
Dal libro di Carmelo Catanoso e Agostino Uberti, LA DIVISIONE ALPINA CUNEENSE AL FRONTE RUSSO (1942-1943), Stabilimento Grafico Marino, Genova 1982
Pag.106
Cadevano il maggiore Quaranta del Comando Divisionale ed il sottotenente interprete Costantini (che russo di origine si chiamava in realtà Igor Juravlev ed era cresciuto fin da bambino in Italia, il quale piuttosto che cadere vivo in mano al nemico, si toglieva la vita.
Dal libro di Piero Fortuna e Raffaello Uboldi, IL TRAGICO DON Cronache della Campagna di Russia italiana 1941 – 1943, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1980
Pag. 404
“sei pazzo ! “ l’ufficiale ha afferrato il braccio destro del Tenente Giorgio Costantini che si è portato la pistola alla tempia. L’isba di Sheljakino in cui la pattuglia ha trovato riparo è impregnata di fumo e dell’odore acre della pomata anticongelante.
“non sono pazzo” risponde Costantini con un quieto sorriso. “io sono russo, Sono nato in Russia. In realtà mi chiamo Igor Juravlev. Mia madre mi portò in Italia dopo la rivoluzione e presi il nome di Costantini. Se i russi mi prendono mi fucilano. E’ meglio che la faccia finita, da solo, spontaneamente. “
E’ la notte sul 23 gennaio. Sheljakino è popolata soltanto da cadaveri. Mentre la pattuglia guidata da Costantini, che è l’interprete del Generale Pascolini, si aggira per le strade del villaggio, i russi sbucano dalla tormenta. Costantini si rifugia in un’isba, poi pensa che per lui è finita.
L’ufficiale che gli ha tolto la pistola lo fa sdraiare accanto a sé. “non fare sciocchezze” gli dice: “A morire c’è sempre tempo. “
Quando vinto dalla fatica chiude gli occhi per il sonno, Costantini lentamente gli sfila la pistola dalla fondina. Se la appoggia alla tempia e preme il grilletto.