Fante Carlo MARCHIO’ LUNET

di Davide e Angela Paronuzzi

277°  Rgt.

nato a Aviano – PN - residente a Trieste 08.07.1922

Deceduto a Trieste 30.10.2016

Rientrato vivo dal ripiegamento dal Don (invalido di guerra


Carlo ha vent’anni quando la guerra interrompe bruscamente sogni e progetti di vita futura, e si ritrova in una terra lontana, mai immaginata, dove fame, freddo, morte sono costanti e fedeli compagni di viaggio.


Nell’aprile 2010 avevo partecipato all’organizzazione a Trieste presso il Circolo Ufficiali dell’Esercito della mostra e della conferenza “ORIZZONTI DI MEMORIA - IMMAGINI E RICORDI DELL’ARMIR”  occasione nella quale ho conosciuto Carlo Marchiò Lunet.  Lo avevo invitato sia perché responsabile della sezione UNIRR della città sia per il fatto di essere uno dei veterani della Campagna di Russia. Era arrivato con il Labaro dell’Associazione e si era presentato ricordando di essere un soldato della Divisione dimenticata, la Vicenza, sottolineando in modo molto marcato il fatto che appunto della Vicenza nessuno ne parlasse e che poco era presente per la sua memoria. Negli stessi giorni venivo contattato anche dalla Silvia Falca nipote del disperso Antonio Gallia del 277° Reggimento e da Sanja Husu, figlia del Capitano Valentino, comandante della Compagnia Cannoni da 47/32 del 277°.    Posso affermare che da questi incontri, sicuramente non fortuiti, è iniziato l’interesse per la Divisione Vicenza e di conseguenza tutte le attività di ricerca e divulgazione i cui risultati ad oggi sono presenti, pubblicati e consultabili sul sito www.divisionevicenza.it grazie alla collaborazione con Giuseppe Rizzo .

L’incontro con Carlo, l’unico Reduce della Vicenza che ho mai potuto conoscere, è stato il momento nel quale ho acquisito le motivazioni che mi hanno portato a sviluppare questo progetto, pertanto posso affermare senz’altro che grazie a lui è iniziato tutto l’impegno per la Divisione Martire.

Carlo aveva una voglia irruente nel voler raccontare la sua Vicenza e tutte le vicissitudini che aveva vissuto in quel teatro di guerra. Raccontava la sua storia con tanto trasporto che era addirittura impossibile interromperlo per porre qualche domanda. Lo voglio ricordare così e se possibile ringraziarlo per avermi convinto inizialmente assieme a Silvia e Sanja a dedicarmi alla Vicenza.

L’ avere incontrato Loretta, figlia di Carlo, ed il sapere che aveva prodotto il libro IL SOLDATO CARLO – Storia di un reduce (Tipografia RZ, Pordenone, 2022), mi ha dato la possibilità di completare la conoscenza del fante Carlo, e nel ricordarlo mi sembra di potergli dire che oggi la sua Vicenza non è più la Divisione dimenticata, assecondando così il suo desiderio.  Grazie Carlo !

Mauro Depetroni


 Coltivare la memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare…  

Carlo nasce l’8 luglio del 1922 da una famiglia contadina della pedemontana avianese. A quattordici anni viene mandato a Trieste, “a bottega” da uno zio idraulico per imparare il mestiere. Nel ‘40, quando l’Italia entra in guerra, è costretto a ritornare a casa. Qui, mentre si divide tra la coltura dei campi per aiutare la famiglia e lavoretti extra per guadagnare qualche lira, decide di conseguire la patente di guida, cosa che gli risulterà particolarmente utile in seguito. Nel gennaio del ‘42 arriva la tanto temuta chiamata al servizio militare presso il distretto di Trieste. Superate le visite mediche e le altre formalità, sa di essere destinato a Sondrio, nella fanteria. Carlo, mai uscito dal ristretto spazio della sua regione, si sente disorientato, non ancora pronto ad affrontare le incognite che gli riserva il futuro. Egli, però, non si perde d’animo e, audacemente, riesce a corrompere un maresciallo che modificherà la sua destinazione: caserma di Cervignano del Friuli dove prenderà anche la patente militare. Felice di essere vicino a casa, ogni volta che ha una licenza inforca la bicicletta e, con l’ardore dei suoi vent’anni, si fa un centinaio di chilometri per riabbracciare la sua famiglia.

Ma la guerra incombe. Nel basso Friuli si stanno mettendo insieme i battaglioni che costituiranno l’ossatura dei due reggimenti di cui si comporrà la Divisione Vicenza, grande unità che successivamente verrà destinata al fronte russo in supporto all’Ottava Armata. Carlo viene inquadrato nel 277° reggimento guidato dal colonnello Giulio Cesare Salvi e poco dopo viene inviato per un periodo di addestramento a Brescia. Qui i mesi trascorrono apparentemente tranquilli, lontani dai venti di guerra, e il giovane, a cui è stato affidato il compito di consegna e ritiro merci in virtù della sua patente, durante gli spostamenti sul territorio si trova anche a vivere una breve storia d’amore. Ma alla fine dell’estate arriva l’ordine di partenza e dopo intensi preparativi, ai primi di ottobre ha inizio il viaggio: destinazione Russia. Carlo, giovane, intraprendente, forte e sano, parte senza una reale consapevolezza di quello che lo attende. È una grande avventura che affronta con l’entusiasmo della sua giovane età. Ma via via che il treno avanza lungo l’itinerario che attraversa l’Europa, comincia ad avvertire le prime avvisaglie delle atrocità della guerra. Se l’Austria e la Cecoslovacchia non sembrano ancora toccate dal conflitto, l’ingresso in Polonia fa capire immediatamente che lo scenario è cambiato. Macerie e distruzione ovunque e se il messaggio non è ancora chiaro, sarà la scritta, in tedesco, che campeggia sulle mura della prima stazione che incontrano, a fugare ogni dubbio: “In questo momento entrate in territorio nemico, pertanto, d’ora in poi dovete sapere che è vostro dovere odiare il nemico”. Dovrà odiare donne e uomini mai conosciuti, uccidere esseri umani che non si sono macchiati di nessuna colpa? Perché? È la legge della guerra. Una legge spietata che imparerà a conoscere molto presto. Poco oltre Varsavia, durante una sosta del treno su cui viaggiavano, un ebreo, che sta lavorando insieme ad altri lungo la linea ferroviaria, viene brutalmente ucciso da un militare tedesco per il solo fatto di essersi chinato a raccogliere una sigaretta che Carlo gli ha lanciato dal treno. Sconvolto, egli vorrebbe afferrare il fucile e scaricarlo su quell’essere disumano capace di tanta atrocità. I suoi commilitoni lo fermano ricordandogli che i tedeschi erano nostri alleati, e uccidere uno di loro significava corte marziale. Altre volte gli capiterà di voler prendere le distanze da quei cosiddetti alleati, uomini che si ritenevano superiori per razza e, aldilà dello scontro armato, inevitabile in guerra, godevano nell’infliggere umiliazioni e torture. Lui non sarà mai come loro, non userà le armi contro persone inermi, contro civili innocenti, anche se considerati nemici.

Il viaggio prosegue non senza difficoltà. Superano il fiume Dnepr, al confine con l’Ucraina, grazie al ripristino di un ponte fatto saltare dai Russi; attraversano paesaggi aridi e brulli, ma anche campagne coltivate che riportano Carlo alle sue terre, agli affetti e al calore della famiglia. Ricordi struggenti, che però gli danno la forza per andare avanti.

     Dopo una decina di giorni, il viaggio in treno si conclude a Kupiansk, nell’estremo lembo orientale dell’Ucraina. Da qui, dovranno proseguire a piedi per raggiungere la cittadina di Swatovo, a circa 60 km più a est. Marciano in condizioni disastrose su un terreno infangato, con la pioggia che cede il passo alla neve e la temperatura che di notte scende fino a -15°. Stremati dal freddo e dalla fatica, dopo una trentina di chilometri, arrivano a Swatovo, dove stabiliscono il quartier generale. Vi rimarranno per circa un mese con compiti di controllo del territorio.

La vita in paese è abbastanza tranquilla. I soldati solidarizzano con la popolazione locale formata per lo più da donne e vecchi. Carlo conosce una ragazza, Sura, e se ne innamora. I due giovani sono fortemente attratti l’uno dall’altra e la separazione sarà molto dolorosa quando, in seguito ad un attentato da parte di partigiani russi, le truppe sono costrette ad abbandonare il paese. Sura, disperata, segue la lunga colonna di uomini e mezzi che si allontanano e supplica, invano, il suo amato di non abbandonarla. Ma la guerra è inflessibile, come il senso del dovere, cui Carlo non si sottrae.

Alla fine del mese di novembre la Divisione Vicenza riceve l’ordine di riorganizzarsi per venire trasferita in territorio russo ed essere aggregata al Corpo d’Armata Alpino acquartierandosi nei dintorni della città di Rossosc.

Lo spostamento della Divisione avviene naturalmente a piedi. La marcia dei soldati prosegue ed essi raggiungono Podgornoje e poi Popovka dove rimangono fino a Natale. Ormai sono a una ventina di chilometri dal fiume Don, che segna la linea di demarcazione del fronte. Proprio il giorno di Natale ricevono l’ordine di spostarsi più a sud, a Rossosc, per difendere quell’avamposto dalle incursioni dell’esercito russo che ormai aveva attraversato il fiume più a sud. La situazione degenera e dopo la metà del mese di gennaio Rossosc viene assediata ed espugnata dopodichè il Corpo d’ Armata Alpino e con esso la Vicenza iniziano le fasi del ripiegamento. I violenti bombardamenti cui sono sottoposti li costringono però a ripiegare e far ritorno a Podgornije.

La speranza di mantenere saldo il fronte orientale è ormai vana ormai le truppe italiane sono praticamente accerchiate.

Ma tutta la drammaticità della situazione prende corpo quando si diffonde la consapevolezza che non solo devono abbandonare le posizioni acquisite, ma anche sfondare l’accerchiamento dei soldati russi che li hanno preceduti, chiudendoli in una sacca. Il ripiegamento si trasforma in uno strenuo combattimento contro le forze nemiche che attaccano da ogni lato. Ma c’è un altro nemico che non dà tregua: il freddo, che penetra nelle ossa, nella pelle, fin quasi nell’anima. Fango e ghiaccio si mescolano in una poltiglia scivolosa che rallenta la marcia e la rende pericolosa. Le temperature raggiungono anche i -40°C, le mani, i piedi, il naso, le orecchie sembrano non far più parte dei loro corpi, tanto sono intirizziti dal gelo, le scorte di cibo stanno finendo e il morale dei soldati è sempre più cupo. Devono guadagnare quanto più terreno possibile, finché le mitraglie nemiche tacciono, ma i loro corpi, intorpiditi dal freddo e dalla fanghiglia ghiacciata, sono come paralizzati. Tuttavia, non possono fermarsi. Raccolgono le forze e si trascinano alla ricerca di cibo e di riposo, con la speranza di trovare rifugio in qualche isba semiabbandonata che incontrano lungo il percorso. Sono passati poco più di dieci giorni dall’inizio della ritirata. Molti soldati sono feriti, congelati, completamente privi di forze, ma sanno che devono allontanarsi da quell’inferno se vogliono sopravvivere.

L’azione di contrasto per uscire dalla morsa mortale culmina con la battaglia di Nikolajewka, dove quel che rimane degli uomini ancora in grado di combattere (Carlo ferito e congelato non sarà tra questi, assisterà impotente a quello che avviene attorno a lui) si lancia con le poche armi di cui ancora dispone contro il fuoco delle mitragliatrici nemiche. Avanzano con la sola forza della disperazione e, incuranti dei compagni che cadono intorno a loro, vanno avanti anche se hanno esaurito le munizioni, ben sapendo che quella è la loro ultima occasione per sperare di ritornare a casa. I russi, convinti di tenerli sotto scacco grazie alla loro potenza di fuoco, sono sopraffatti da tanta determinazione e costretti alla fuga. I sopravvissuti sanno che il cammino sarà ancora lungo prima di raggiungere la stazione da cui partiranno i treni per il rientro in patria, ma sperano che sia più sicuro essendosi lasciati il nemico alle spalle. Non sarà proprio così perché le insidie dei russi ci saranno ancora, i morti sul campo aumenteranno e tanti soldati, stremati dalla fame, dal freddo, dalle piaghe da congelamento e dalle ferite si lasceranno cadere sulla neve in attesa della morte.

Carlo, da quando è iniziata la ritirata, ha messo in atto tutta la furbizia, la caparbietà, la resilienza di cui è capace per riuscire a salvarsi. La sua giovane età e il suo fisico robusto lo aiuteranno a sopravvivere alla mancanza di cibo, anche se in poco più di un mese perderà quaranta chili di peso. Ma quello che non lo abbandonerà mai sarà la fede. Lui, infatti, crede fermamente che, in molti degli episodi che lo vedono salvo per una coincidenza fortuita di eventi, ci sia una mano soprannaturale. È convinto che le sue preghiere, ma soprattutto quelle di sua madre, che non smetterà mai di sperare nel suo ritorno, lo proteggano e lo guidino verso la salvezza. Quando, però, stremato dalla sofferenza, con un braccio ferito, i piedi congelati e con addosso i pochi stracci rimastogli, viene messo sul treno che lo riporterà in Italia, ha ormai un solo desiderio: sopravvivere fintantoché non arriverà sul suolo italiano, poi potrà anche morire sapendo che sarà sepolto in Patria.

Le cose andranno diversamente: Carlo si salverà. Dopo una lunga degenza nell’ospedale militare di Varese, finalmente nell’ aprile del ‘43 fa ritorno a casa. Congedato dall’esercito, in quanto reduce, ferito e congelato, della campagna di Russia, vi rimarrà fino alla fine della guerra. Nel ‘45 torna a lavorare a Trieste. Lavorerà nell’edilizia per alcuni anni, per poi approdare all’arsenale triestino ed essere impiegato nella manutenzione delle navi. Nel ’49 si sposa con Teresa che gli rimarrà accanto per sessantasette lunghissimi anni. Nel ’53, essendogli stato riconosciuto lo status di invalido di guerre dallo Stato italiano, viene assunto nella pubblica amministrazione: farà il bidello (oggi collaboratore scolastico). Avrà due figlie, Loretta e Piera, e due nipoti, Francesca e Irina. Sarà sempre molto orgoglioso “delle sue donne” come amorevolmente lui le chiama.  Avrà una vita lunga e serena circondato dall’affetto dei suoi cari ma non potrà mai dimenticare quella tragica esperienza vissuta a soli vent’anni e sentirà il bisogno di raccontare, di ricostruire, con dolorosa memoria, ogni momento di quelle giornate interminabili, a tu per tu con la morte. Lo ha fatto con la sua famiglia, con gli amici, ma anche con i bambini della scuola elementare in cui lavorava (Nell’anno scolastico 1981- 82 alcune classi hanno raccolto in un libricino i suoi racconti, corredandoli di disegni e spunti personali) perché, come dice Liliana Segre, “coltivare la memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare…”

Carlo in quello sterminato campo di ghiaccio e di sofferenza, non si dava pace per la morte di uomini che avevano solo allungato la mano per prendere una sigaretta, non capiva il perché di quei massacri, ne rivedeva le immagini. E quelle immagini, a volte addolcite dalla generosità di tante donne del luogo, non hanno mai cessato di popolare la sua mente e lo hanno spinto, nel corso della sua vita, a ripudiare ogni guerra, portatrice solo di morte e di dolore.

Solo gli ultimi anni saranno offuscati dal sopraggiungere della malattia che a poco a poco si porterà via tutti i suoi ricordi. Si spegnerà a Trieste il 30 ottobre 2016.

Loretta Marchiò Lunet 

 


La storia di Carlo Marchiò Lunet è pubblicata nel libro di Loretta Marchiò Lunet, IL SOLDATO CARLO – Storia di un reduce, Tipografia RZ, Pordenone, 2022


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